“Judge me by my side do you?” (ovvero “Giudichi forse me dalla grandezza?”) la citazione del Maestro Yoda dalla saga di Star Wars per questo film è più che dovuta, in quanto sembra proprio che George Lucas riponga una grande forza nelle persone apparentemente più piccole.
Fu così per il maestro Jedi ed è così per Willow.
Bavmorda (Jean Marsh) è una strega malvagia, regina di un reame che ha conquistato col terrore.
Vasti eserciti hanno cercato di abbatterla ma nessuno vi è mai riuscito poiché le sue armate paiono invincibili; non vi è nulla che Bavmorda possa temere se non una profezia che ha designato una bambina come sua rovina.
Accecata dall’odio e dalla paura di perdere il suo regno la strega fa prigioniere gran parte delle donne gravide del paese per poter controllare ogni nascita.
Elora Danan (la bimba della profezia) viene alla luce nelle prigioni di Bavmorda e grazie alla complicità della balia riesce a fuggire sino al fiume dove, abbandonata, verrà trascinata dalla corrente sino ad un piccolo paese di Nelwyns (nani) dove verrà soccorsa dai figli di Willow Ufgood (Warwick Davis), un contadino che sogna di diventare stregone.
E’ qui che inizia l’avventura del nostro eroe il quale con l’aiuto di un mercenario Daikini (cioè umano) scapestrato ma dal cuore tenero di nome Madmartigan (il sex symbol degli anni '80 Val Kilmer) avrà il compito di proteggere Elora affinchè la profezia si compia.
Diretto da Ron Howard, prodotto e scritto da G.Lucas Willow è una fiaba fantasy che può piacevolmente sorprendere.
Difatti, pur mantenendo lo scheletro classico del genere, la pellicola si dimostra in più punti originale, a incominciare proprio dal protagonista.
Willow non è un eroe convenzionale, non è quel baldo giovane assai piacente che catturando gli occhi della “Bella” di turno la salva, la conquista e la porta all’altare dove si sa che, tra un bacio e l’altro, vivranno per sempre felici e contenti. No.
Willow è un contadino e un uomo di famiglia che pur aspirando a grandi cose (la stregoneria) non ha abbastanza fiducia in se stesso per affermarsi, nascondendo quindi in se un grande potenziale.
Il film diventa quindi una metafora della crescita spirituale, del dimenticarsi delle proprie debolezze esteriori (come può essere l’altezza per il nostro eroe) per iniziare a credere in se stessi sino a comprendere il proprio potenziale, indispensabile per la realizzazione dei sogni.
Assai piacevole è inoltre, per una volta, la mancanza di una storia d’amore centrale che come spesso accade nei “fantasy d’epoca” (e non solo), è la rovina del cattivo. Di amore se ne parla certo, ma in modo del tutto marginale al filone principale, un po’ come una bella cornice che esalta il quadro senza offuscarlo. Perciò nel caso rilassatevi signori, non dovrete stringere la mano di nessuna delle vostre fidanzate in piena crisi di pianto da “happy ending romantico”. Insomma, la morale è alquanto semplice: il vino buono sta nella botte piccola.
La pellicola, a discapito dei desideri di Lucas non si è rivelata quel blockbuster che i produttori speravano, tuttavia la qualità della recitazione, l’originalità della trama e gli effetti speciali (credibili per l’epoca) rendono Willow un tassello importante della storia del fantasy; per riprendere il detto sopra citato: “da degustare con cura”.
Francesca Rita Loi
Sito internet: http://nanune13.deviantart.com
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