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giovedì 3 ottobre 2013

LE CURVE PERICOLOSE DI PANTERA BIONDA




Gli anni del Fascismo avevano costruito un’immagine della donna molto precisa: arrendevole, mansueta e totalmente sottomessa al suo partner maschile. Immaginatevi lo stupore quando nelle edicole italiane del primo dopoguerra fece la sua comparsa un’eroina decisamente insolita, una donna libera, forte e coraggiosa in grado di affermarsi, persino nello scontro fisico, con gli uomini. Era il 24 aprile 1948, una data a suo modo storica e la Pantera Bionda irrompeva sulla scena da grande protagonista. Con impavido coraggio e ottimo fiuto, l’Editrice ARC di Pasquale Giurleo affidò allo sceneggiatore Gian Giacomo Dal Masso e al disegnatore Enzo Magni (in arte Ingam) la realizzazione di una “Jungle Girl” all’italiana. Intendiamoci, le ragazze della foresta avevano già alle spalle una lunga e prestigiosa carriera fumettistica nella loro Patria d’origine (Ovviamente gli USA). Dopo un periodo di assestamento sulle “Pulp Magazines” (Riviste popolari in gran voga tra gli anni '10 e '40 del secolo scorso), il mercato era letteralmente esploso ed ogni Casa Editrice aveva la sua “Jungle Girl” di riferimento. I nomi erano brevi e vagamente esotici: Nyoka, Sheena, Pantha... In realtà, i nomi contavano relativamente, quella che importava era la valenza erotica di queste eroine dalle chiome fluenti e dalle bocche carnose. La giungla stessa diventava un mero pretesto per svestire le protagoniste e metterne in evidenza seni turgidi e glutei torniti. Il “fenomeno” era approdato anche in Europa con la “francese” Durga-Rani, Reine des Jungles di René Pellos, un’eroina violenta e passionale in accesa lotta contro il progresso forzato e la meccanizzazione dell’Uomo. Dalla Francia all’Italia, il passo fu breve. Pantera Bionda partì come quindicinale (12 pagine a grande formato verticale) ma l’ottima accoglienza (addirittura 100000 copie vendute) la portò già dal numero 6 a diventare settimanale. Per velocizzare i tempi di esecuzione, gli Autori si fecero aiutare da un nutrito stuolo di assistenti, dal ventenne Mario Cubbino, “specializzato” nella raffigurazione del corpo dell’eroina, a gente come Chiomenti, Savi, Pini-Segna, Guarnieri e Arselli. La giovane e flessuosa Pantera Bionda indossava un minuscolo bikini leopardato che ne metteva in risalto muscoli e curve ma soprattutto “esibiva” un caratterino che la portava a comportamenti aggressivi e spregiudicati. Al suo fianco c’erano l’innamorato “tontolone” Ted (un esploratore americano), la vecchia e fedele nutrice cinese, Fiore di Loto e l’orango Tao, controparte al maschile della Cita di Tarzan. Le storie erano ambientate nella foresta del Borneo e nell’arcipelago della Sonda, luoghi misteriosi in cui la bionda ragazza occidentale era venerata dai nativi come un’autentica dea. I nemici, vista l’epoca e la localizzazione geografica erano soprattutto soldati giapponesi sbandati dalla guerra ma anche contrabbandieri e trafficanti. Tutto procedeva al meglio ma le sue generose forme presto suscitarono l’ira di varie associazioni cattoliche che fecero partire una serie di denunce per offese al comune senso del pudore. Al coro si unirono le Case Editrici concorrenti invidiose del grande successo e, in breve tempo, arrivò il veto della censura. Dopo 40 numeri, Pantera Bionda veniva bloccata! Per tornare nelle edicole, l’editore fu costretto ad accettare un compromesso: l’eroina doveva rivestirsi! Le pagine già disegnate vennero grossolanamente ritoccate: il ridotto ma elegante perizoma divenne un insulso gonnellino che arrivava fino al ginocchio, il reggiseno originario venne ricoperto da una morigerata camicetta e persino i piedi non potevano più essere mostrati nudi. Era il trionfo del bigottismo, una “violenza” che depotenzializzava totalmente l’effetto glamour suscitato dalla Pantera. Il 10 giugno del 1950, dopo 108 numeri, l’editore fu costretto alla resa, le vendite erano in netto calo e gli attacchi della Magistratura lo avevano stancato. L’eroina chiuse la sua storia editoriale con il matrimonio che santificava la sua lunga convivenza con Ted... La “regolarizzazione” era ormai completata e il moralismo spicciolo aveva vinto la sua battaglia. In realtà quello che “spaventava” non era la nudità della ragazza... Quello che disturbava i benpensanti era la sua vocazione all’indipendenza e la sua incapacità di accettare un ruolo subalterno rispetto all’altro sesso. Era una protofemminista troppo avanti rispetto ai suoi tempi. Pantera Bionda sparì dalle edicole ma entrò nella piccola Storia del fumetto italiano, stampando una solida e persistente impronta nell’immaginario collettivo di una intera generazione.

Pietro Zerella
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